Falcone Lucifero dei marchesi di Aprigliano (Crotone, 3 gennaio 1898 – Roma, 2 maggio 1997) è stato un politico italiano.
Falcone Lucifero | |
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Ministro della Real Casa | |
Durata mandato | 4 giugno 1944 – 13 giugno 1946[1] |
Capo del governo | Pietro Badoglio Ivanoe Bonomi Ferruccio Parri Alcide De Gasperi |
Predecessore | Pietro d'Acquarone |
Successore | Carlo d'Amelio |
Ministro dell'agricoltura | |
Durata mandato | 11 febbraio 1944 – 22 aprile 1944 |
Capo del governo | Pietro Badoglio |
Predecessore | Carluccio Pareschi |
Successore | Fausto Gullo |
Dati generali | |
Partito politico | PSI (1920-1922) PNF (1922-1926) Indipendente (1926-1946) |
Stemma della famiglia Lucifero | |
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Blasonatura | |
Troncato d’azzurro e rosso divisa d’argento al capo di due stelle d’oro ad una luna crescente d’argento. |
Figlio di Armando Lucifero e cugino di Roberto Lucifero d'Aprigliano, al termine della prima guerra mondiale, alla quale partecipò come ufficiale, si laureò in giurisprudenza a Torino. Nel 1920 fu eletto consigliere comunale a Crotone, sua città natale; dopo l'adesione al Partito Socialista Unitario, lasciò la formazione di Filippo Turati per iscriversi al partito fascista.[2] Tuttavia, dopo l'avvento del regime si ritirerà a vita privata, esercitando la professione di avvocato.
Alla caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, il primo governo Badoglio lo nominò prefetto di Catanzaro e poi di Bari. Dall'11 febbraio al 22 aprile 1944 fu ministro dell'agricoltura nello stesso governo.
Il 4 giugno 1944 Umberto di Savoia, luogotenente generale del Regno, lo nominò Ministro della Real Casa, carica tenuta fino ad allora da Pietro d'Acquarone. Nel corso dei due anni della luogotenenza e dei trentatré giorni di regno di Umberto, fu il principale interlocutore del governo e delle forze politiche antifasciste, e organizzò la campagna in favore della monarchia nell'imminenza del referendum istituzionale del 2 giugno 1946.
Dal 2 al 13 giugno 1946 gestì in prima persona la delicata fase immediatamente successiva allo svolgimento del referendum, adottando una linea ferma ma scevra da tentazioni oltranziste. Il 13 giugno, in conseguenza dell'attribuzione da parte del Consiglio dei ministri dei poteri di capo provvisorio dello Stato al capo del governo Alcide De Gasperi, stese il testo dell'ultimo proclama di Umberto II.
Dopo la partenza del Re per il Portogallo rimase suo unico rappresentante ufficiale in Italia. In questa veste rappresentò l'ex re in occasione dei funerali delle vittime del Vajont, delle vittime delle stragi degli anni settanta, di Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo I e all'intronizzazione dei loro successori. Si occupò anche dell'attività benefica di Umberto II e dei suoi contatti col mondo politico. Nel 1948 rifiutò la nomina a senatore a vita offertagli da Luigi Einaudi.
Il 4 settembre 1969, in occasione del proprio sessantacinquesimo compleanno, Umberto II lo nominò cavaliere dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata. Insieme a Vittorio Cini (nel 1975) fu il solo caso, dal 1944 al 1982, di concessione della massima onorificenza di Casa Savoia a una personalità che non fosse un capo di Stato né appartenesse a una dinastia reale. Il 18 marzo 1983, dopo la morte dell'ex sovrano, fu praticamente esautorato dal suo ruolo dal figlio di Umberto, Vittorio Emanuele di Savoia.
Pubblicò saggi, biografie, opere letterarie e teatrali. Collaborò con quotidiani e periodici, e, fino all'ultimo, continuò a sostenere la tesi monarchica e costituzionale. Intervistato nel 1990 da Giovanni Minoli per Rai 2[3] e da Bruno Vespa per Rai Uno nel 1996, ribadì la tesi dell'invalidità dello svolgimento del referendum.
Morì a Roma nel 1997, e, per sua volontà, fu sepolto al cimitero monumentale di Crotone, alla cui biblioteca comunale, intitolata a suo padre Armando Lucifero, aveva donato nel 1996 il suo voluminoso carteggio privato. I suoi diari dal 1944 al 1946 sono stati pubblicati da Arnoldo Mondadori Editore nel 2002, col titolo L'ultimo re.
![]() | Cavaliere dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata |
— 1969 |
![]() | Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro |
— 1969 |
![]() | Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia |
— 1969 |
![]() | Croce al merito di guerra |
![]() | Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915 – 18 (4 anni di campagna) |
![]() | Medaglia commemorativa dell'Unità d'Italia |
![]() | Medaglia commemorativa italiana della vittoria |
Altri progetti
Predecessore | Ministro della Real Casa | Successore | ![]() |
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Pietro d'Acquarone | 1944-1946 | Incarico abolito |
Controllo di autorità | VIAF (EN) 79078595 · ISNI (EN) 0000 0001 1771 8578 · SBN PALV002793 · LCCN (EN) n79038495 · BNF (FR) cb12211071r (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n79038495 |
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